giovedì 24 gennaio 2013

9/11/CRACK

 
Questo manifesto nasce dalla rabbia e dalla paura. Dalla rabbia di chi quel giorno di Novembre di 14 mesi fa, vedeva il suo Paese sgretolarsi sotto gli occhi, con la terribile sensazione di essere inermi, e poi ha scoperto che dietro c'era un vile fine politico. Dalla paura di sentirsi davvero scivolare nel baratro, con una velocità ed una tragicità spiazzante.
Quel giorno di Novembre, io lo ricordo bene, ricordo bene l'angoscia con cui seguii infinite dirette TV che riportavano l'impennata fuoribordo dello SPREAD. Ricordo le faccie scomposte e ghibelline dei politici, che si ragguagliavano solo ora dello sfacelo del Paese. Ricordo la sensazione che fosse tutto finito, che alle porte avessimo la Grecia della Troika.

sabato 19 gennaio 2013

Il Frankenstein elettorale

 
Nella notte più buia della Repubblica Italiana,mentre crollava tutto, in un caveau di palazzo,  una cerchia di folli e psicolabili si riunivano per compiere un esperimento epocale, che avrebbe cambiato la storia del Paese. Il progetto era a metà tra il crimine e la genialità, e poco importava dell'etica e del giuramento di Ippocrate.
Diedero vita al  Frankenstein elettorale. Il suo corpo politico venne assemblato dai becchini del parlamento, che racimolarono qua e là brandelli di lobbysti e conservatori di vecchia data. Una volta che tutti i pezzi furono trovati, e raggruppati su un bancone di legno di castagno, toccò al Capo degli Scienziati l'infame compito di dare vita all'inerme, di fare forma all'informe. Il suo fu un tocco divino, che di colpo mise in moto la perfetta macchina biologica dell'essere. Per molti fu più che un padre, ma più verosimilmente un creatore.
Deus ex machina.
 
Il Frankenstein elettorale, metà politico e metà tecnico, venne battezzato in un giorno di novembre, con un bagno di folla e di demenza. Il suo elefantismo conclamato ed il suo aspetto mostruoso, furono perdonati dal piccolo-popolo della domenica, nel nome della pietas e dei suoi modi sobri e mansueti.
La creatura, moderno Prometeo della democrazia, stretto nella cerchia della elite borghese, nel morboso abbraccio della propaganda massiva, difeso dalla voce grossa dell'Europa degli scienziati; crebbe. E mentre cresceva credette davvero di essere amato dagli altri, nonostante la sua spudorata diversità.
Poi un giorno il suo creator lo rinnegò (come si rinnegano gli errori), disconoscendo la paternità di quel mostro, che ormai era cresciuto troppo anche per lui. Nessuno poteva più accettare quella aberrazione semantica, nessuno voleva più l'ingombrante presenza del tecnocrate di Bruxelles.
 
Da quel giorno, così, il moderno Prometeo della democrazia vendette la sua anima al diavolo per poter essere come tutti gli altri. Un politico senza se e senza ma. Un bugiardo cronico, che stringeva mani e si pavoneggiava dinanzi la macchina del One-man-show.
Il Frankenstein elettorale, ormai autosufficiente, poteva finalmente compiere la sua finale mutazione, pronto ad essere conductor in mare e in cielo, oracolo di una terra senza limiti e senza poesia.
 
(N.B. quello riportato è un racconto frutto di fantasia, che poco attiene alla realtà delle cose)

giovedì 17 gennaio 2013

Mali 1984















(scena tratta dal film Nineteen Eighty-Four,  regia di Michael Radford, basato sul romanzo 1984 di George Orwell. Il film è stato interpretato da John Hurt, Suzanna Hamilton e Richard Burton).

 Winston, leggendo dal libro "Teoria e pratica del collettivismo oligarchico"
- In conformità con i principi del bipensiero, non ha importanza che la guerra ci sia davvero o che essendoci la vittoria sia impossibile; scopo della guerra non è la vittoria, ma la continuità, scopo essenziale del conflitto moderno è la distruzione di quanto prodotto dal lavoro umano. Una società gerarchica è possibile solo sulla base della povertà e dell'ignoranza. Come principio, lo sforzo bellico è sempre programmato per tenere la società alla soglia della fame, la guerra è scatenata dal ceto dominante contro i suoi stessi soggetti, e lo scopo non è la vittoria contro l'Eurasia o l'Estasia, ma quello di mantenere intatta la struttura della società.-

-Giulia, sei sveglia ?
Oh Giulia, esiste la verità e la non-verità. Chi si aggrappa alla verità, anche se solo, non è pazzo. Giulia amore mio, ora ho capito il come, ma non capisco il perchè.


lunedì 14 gennaio 2013

COMUNISMO! (alla rovescia)

 
Think Different. Così recita il mantra nella reclame del prodotto più IN del tempo. Questo messaggio, come una matrioska, contiene dentro di sé un altro messaggio: l'assioma per il quale, dotandoti di ciò che la reclame ti propina hai compiuto una scelta libera, e che quella scelta libera ha fatto di te un essere differente.
Appunto di differenza vorrei parlare oggi. Cosa c'è di tanto differente tra la grande era del libero mercato che impone in modo subliminale, e il vecchio regime statalista e omologatorio del Comunismo ? Niente! (evidentemente è la mia risposta, altrimenti mi sarei risparmiato di scrivere questo post).
 
Il grande fascino del libero mercato, che a onor del vero ha lusingato e corrotto tutti (me compreso), infondo parte dal princpio opposto a quella retorica  Marxista-Leninista del tutti uguali, dello statalismo che imponeva una macchina per tutti (la macchina del pedalante), una casa per tutti (la tana del manovale), un lavoro per tutti, un salario per tutti, una famiglia per tutti.
Il Libero mercato si fonda sul paradigma elementare: domanda-offerta. Io quindi, consumatore, tra le tante merci presenti sul libero mercato, e a mia disposizione, scelgo te che sei la più bella, che sei la più cara, che sei la più utile. La concorrenza e la globalizzazione avrebbero dovuto amplificare questa grande liberazione dell'uomo qualunque (della visione Marxista), donandogli quel libero arbitrio che prometteva sconfinato edonismo personale. Think Different incarna pienamente questo spirito; immaginate milioni e milioni di persone, che acquistano lo stesso prodotto, in ogni angolo del mondo, e mentre lo acquistano leggono sulla interfaccia questo apostolico messaggio di libertà. Ah, io sono libero di comprare un I-Phone!(per non fomentare la truce battaglia tra Apple-affected e Samsung-affected, potrebbe anche essere un Galaxy III).
 
Lungi da me riportare qui la trita questione sullo stasus symbol,che rappresentano oggi tali prodotti, piuttosto che la grande questione circa la nostra società dei mass-media.
L'appunto che si vuole portare avanti in questa sede è solo uno. Il Liberismo che professava sgomento totale per la pesante retorica di omologazione, ne ha semplicemente riprodotta una sua nuova personalissima versione. Il Liberal-Comunismo lo chiamerei io.
Un mondo in cui, su pressione dei mercati, si sviluppano enormi fenomeni di omologazione, si impongono massive tendenze. Sebbene il libero mercato sia così vasto e variegato, la gamma delle merci che invadono la grande distribuzione sono pressappoco le stesse. Insomma, al posto del Grande Partito Comunista, ad imporci la nostra automobile, oppure il nostro computer, piuttosto che la frutta che vogliamo sono le Grandi Multinazionali.
 
Evidentemente questo non significa che sia necessariamente un male, ne che in una scala di valori il comunismo sia più auspicabile del liberismo, si intende. Quello che si vuole affermare qui, con l'autorevole voce che mi è consentita, è che entrambi hanno attinto alla stessa cultura dell'omologazione, ed entrambi hanno fatto ricorso alla propaganda alla rovescia : Think Different, potrebbe essere scritto sulla confezione di un tablet piuttosto che sulla bandiera della URSS; provocherebbe in me lo stesso senso di ilarità e sconforto.

sabato 12 gennaio 2013

Truman Show

 
A prscindere da qualisasi sia il proprio orientamento di voto, la propria appartenenza ad una particolare area politica, se dovesse avverarsi quello che oggi Beppe Grillo ipotizza per l'ammissione alla competizione elettorale, il nostro Paese sarebbe diventato realmente e inoppugabilmente il Truman Show evocato dal comico. Se a essere esclusi fosse il suo movimento, la lista civica di Ingroia, o addirittura quella del Conte Duca Balabam (mio acerrimo nemico, si intende).
Sarebbe impossibile nascondere la farsa che vuole farsi realtà, la rappresentazione che supera il reale, la narrazione che oltrepassa il narratore. Tutto crollerebbe in una notte, tutto quello che abbiamo creduto di vivere con così tanto vivido senso realistico; dalle bagarre tra le parti e la tanto amata altalena dell'alternanza. La Grande-Macchina dell'apparato di Partito si mostrerebbe in tutto il suo totalitarismo, in tutto il suo siderevole cannibalismo atavico.
Ci renderemmo conto, come usciti da una notte immensa e febbrile, che abbiamo vissuto di proiezioni farlocche ed evanescenti commedie di (falsa) rappresentatività parlamentare.
 
Tutto crollerebbe in una notte, perchè la democrazia perderebbe quasi tutto il suo senso, quasi tutta la sua credibilità, verrebbe meno quel poco che resta del sentore di uno Stato.
A perdere non sarebbe quella parte politica (che può o non può piacere) ma tutto l'apparato -Italia che pensavamo fosse democrazia vera, ma che drasticamente si rivelerebbe per il suo essere una becera stanza degli specchi.
Tutto crollerebbe in una notte, perchè quello che avevamo pensato di aver costruito insieme, (grazie ai nostri padri costituenti) si sgretolerebbe irrimediabilmente, piegandosi su sè stesso come un castello di carte, lasciando un solco non più recuperabile tra le Istituzioni e il (così detto) popolo. Non ci sarebbe più Stato, semplicemente perchè nessuno crederebbe più a Gesù avendolo visto sprofondare sulle acque. Precipiteremmo in una distropia collettiva di autoditruzione, per cui se lo Stato non è più garante della democrazia, allora la democrazia andrebbe ricercata sotto altre forme.
Tutto crollerebbe in una notte, perchè l'astenzionismo schizzerebbe al 70% e gli organi elettivi altro non diventerebbero se non stucchi superficiali, superfetazioni della Repubblica Parlamentare e rappresentativa che dovremmo essere.
 
Qui non ne va della possibilità di questa o quella formaziona politica di entrare in Parlamento, sia chiaro. Qui si tratta di salvaguardare quel poco che resta di Stato, e quel residuo di democrazia che ci hanno lasciato. Perchè se tutto crolla in una notte, quel che resta è solo rovina e macerie, banchetto per sciacalli e profanatori del tempio.

giovedì 10 gennaio 2013

The Telegraph

 
Salve carissmi e stimatissimi lettori, per vostra fortuna quello che sto per propinarvi oggi non è la distorta cronaca transqualunquista di sempre. Vi voglio risparmiare le mie stucchevoli congetture sul mondo, e sull'esistenza. Per questa volta meglio riportare l'Articolo di un serio giornale, che personalmente penso di notevole interesse (nonostante possa apparire troppo specifico ai più), e che penso sia passato inosservato a molti. Si tratta di un articolo del giornale britannico The Telegraph  (qui l'articolo originale) dell'editorialista finanziario Ambrose Evans-Pritchard. Questo a dimostrazione che il noto giornale, si sia trasormato in un covo di sovversivi e anti-polici, alla stregua delle BR e dei terroristi di Al-Quaeda. Maledetti filo-bolscevichi e mini-eversivi.
Qui sotto riporterò la traduzione, per chi come me, è troppo qualunquista per credere di dover imparare un'altra lingua (N.B. per i più pigri e bamboccioni si consiglia anche la sola lettura delle parti in grassetto)
 
The Telegraph: "l'uscita di Mario Monti è l'unica via per salvare l'Italia"
L'Italia ha solo un grave problema economico. Ha la valuta sbagliata. L'Italia è più ricca della Germania in termini pro capite, con circa 9.000 miliardi di euro di ricchezza privata. Ha il più grande avanzo primario nel blocco dei G7. Il suo debito pubblico e privato combinato è al 265% del PIL, inferiore a quello di Francia, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone. Il paese si piazza in cima alla graduatoria dell'indice del Fondo Monetario Internazionale per "sostenibilità del debito a lungo termine" tra i principali paesi industrializzati, proprio perché ha riformato da tempo il sistema pensionistico sotto Silvio Berlusconi. "Hanno un vivace settore delle esportazioni, e un avanzo primario. Se c'è un paese nell'UE che potrebbe trarre beneficio dal lasciare l'euro e dal ripristino della competitività, è l'Italia, ovviamente", ha dichiarato Andrew Roberts di RBS. "I numeri sono davanti a noi. Pensiamo che la storia del 2013 non è quella di paesi costretti a lasciare l'UEM, ma di paesi che scelgono di andarsene".


mercoledì 9 gennaio 2013

IMU: il verme solitario

A tutti gli italiani, chiamati al salvataggio della nave Italia, è stato chiesto di stringere la cinghia e mettere da parte un bel gruzzoletto da destinare alla Patria. Tutti gli italiani, arringati dalle parole stoiche dei giornali e delle teste di bue dei tecnici, hanno versato. Niente regali di natale e vacanze estive, meno aperitivi e libri da comprare. Ogni famiglia sapeva di dover far cassa, perchè sarebbe passato (anche più di una volta, si intende) il sobrio esattore dell'impossta municipale unica.
Tutti uniti, tenuti insieme dal profondo senso di responsabilità di chi sa che bisogna salvare il Paese. Niente da ridire, condivisibile il senso dell'IMU, condivisibile la necessità di togliersi parte del proprio reddito per poter avere un'importante fondo comunitario, un'investimento su sè stessi, sul proprio Stato, sul proprio futuro prossimo.
Si stima che lo Stato abbia incassato in totale una cifra vicina ai 23/24 Miliardi di Euro .
Magari qualcuno di voi potrebbe chiedersi, proprio come me: bene ora di tutti questi nostri soldi cosa ne facciamo ? Se li abbiamo raccolti per uscire dal baratro dovrebbero essere tutti reinvestiti, in quelle cose che si reputano possano essere volano economico e occupazionale: 


martedì 8 gennaio 2013

il Kitsch è la negazione assoluta della merda !

 
[N.B. l'articolo che mi appresto a scrivere, voleva essere in principio una riflessione sulla situazione delle carceri italiane -e forse non solo- nel tentativo di comprendere, quali fossero le radici della sua indiscussa ineguadezza. Ho chiesto il vostro aiuto, ho cercato di informami il più possibile per restituire un quadro approssimativo e credibili. Ma non sono (per fortuna, vostra) un giornalista, e non saprei come scrivere di un argomento così paludoso, non saprei come invastire un discorso che possa sbrogliare la matassa. Quindi, trovandomi nel vicolo cieco dell'argomento, mi rifurio in una letteratura estrema e surreale, che quindi vi prego di non prendere sul serio (ma vi rendete conto di che nome ho,cioè). Sperando che tale divagazione, possa se non rispondere, almeno pizzicare i nervi scoperti di un dramma tutto italiano.
 
C'è un solo modo per risolvere il problema delle carceri (sovraffollate, lercie, disumane). Non è la riforma della giustizia, nemmeno l'amnistia; non è nemmeno la lunghezza dei processi, e la marginalità sociale degli ultimi (masse popolari, immigrati, tossici).
Il modo più semplice per riolvere il problema, è istituire l'anno di carcere obbligatorio per tutti gli architetti. Supponiamo che appena laureato, un giovane architetto, venga prelevato di forza (manco fossero filgi Spartani) e fosse buttato nel terribile calderone degli istituti penitenziari. Vivere in quelle celle stipati-stipati come le bestie, lavarsi in doccie approssimative, e dover cacare in cella mentre di notte si balla e si banchetta con i Ratti.
Una volta usciti dall'anno di carcere obbligatorio, i nuovi architetti incominicierebbero finalmente a pensare quale debba essere l'architettura di una prigione, pensare di che spazi ci sia bisogno e come questi spazi debbano essere. Finalmente i grandi maestri della città, costruiranno un archetipo di carcere moderno, funzionale, a misura d'uomo, con un carattere e una dignità propria. Il carcere allora sì che diventerebbe una Istituzione reale (come un teatro, un museo, un palazzo di giustizia), luogo che rappresenta sè stesso, le sue endemiche realtà e problematiche, le sue reali intenzioni civili. E anche se non fosse così, agli architetti in fondo un anno di carcere, non farebbe che bene.



venerdì 4 gennaio 2013

Tu quoque













Non sono ancora arrivate le Idi di marzo, e c'è chi già trama congiure nelle segrete stanze del palazzo. Sono loro, che in seno all'ombra cupa bisbigliano e complottano, vogliono la testa del Caesar ad ogni costo. Loro, le piccole pulci, congiuranti dell'Alzheimer, che chiedono la testa dell'imperatore dopo averlo glorificato per un lungo/lunghissimo anno, ricamando gli arazzi del suo sobrio operare e pontificando la sua regale moralità e  credibilità internazionale. Loro, i piccoli congiuranti, mantenuti al rango di semplici portaborse del potere ( abituati come erano a sguazzare nel potere, loro delegato), tenuti stretti-stretti con il guinzaglio e la museruola, mansueti come non mai, ora sentono ribollire il sangue nelle vene. I cani non volgiono più essere servi, vogliono la testa dell'imperatore : -Cesare deve morire.

giovedì 3 gennaio 2013

La Grande-Sala dello Spread




Ormai manca poco alle elezioni politiche, così lo Spread inizia la sua campagna elettorale. Ed ha un solo modo per farlo: Scedere giù, sotto la soglia dei 283 punti differeniali. Così facendo da domani Monti potrà fare il giro dei rotocalchi e riempire tutte le prime pagine dei giornali, sventolando il drappo rosso, entusiasta della promessa mantenuta. Già esulta lui, ed esultano chi vuole bissare l'esperienza del suo Partito ( anche se ben si riguarda dal chiamarlo Partito, ma più "moderatamente" e "sobriamente" Lista)
Lo Spread deve convincere l'opinione pubblica che quello che il suo garante Balabam ha fatto, abbia avuto i suoi effetti; la macelleria sociale infondo sarà servita a qualcosa. Pesanti manovre sul sistema pensionistico e sul mondo del lavoro sono stati varati per il Gran-Signore del differenziale, trattati europei al limite dello strozzinaggio sono stati ratificati per il suo benestare. E poi tagli alla spesa e alla scuola sono stati siglati in suo nome, come un tempo si portavano avanti le crociate in Turchia e Israele nel nome di Dio. Tutto il sangue che la nostra società civile ha versato, tutti i sacrifici chiesti a destra e a manca, dall'Europa e dai mercati; tutto/tutto nel suo nome e nel suo segno.

martedì 1 gennaio 2013

il Banco, la Matta e il Mazzo













Passate le feste (diciamo le cose come stanno) ne abbiamo tutti le palle piene di serate a casa di amici e parenti, riuniti a giocare a carte, nel goffo tentativo di trasformare scantinati e taverne in bische più o meno credibili. Ebbene Signori miei cari, ne avremo ancora per molto. Il Banco (della politica) gira senza sosta, frenetico e ansiotico, si acquatta nei nostri soggiorni lustrati e freschi, mentre l'eco della sua voce rimbomba nelle nostre stanze fredde e vuote. Il Banco è un tipo piuttosto maniacale, avido e sibillino. Se dovessi dargli un volto sarebbe vagamente simile al Merda di Pasoliniana memoria. Fate ogni sorta di scongiuro, perchè ce lo ritroveremo tutti i santi giorni a girovagare per salotti televisivi, a farsi intervistare nei giornali, cimentandosi in improbabilissime campagne elettorali di terz'ordine.
Il Banco gira e rigira, come una trottola impazzita, nel delirio febbrile di una danza barbara, un raccapricciante valzer della demenza che come un vortice riscucchia tutti i benpensanti e i piccolo-piccolo-borghese di cui l'Italia è piena.
Televisioni e giornali fanno da orchestra strampalata, la musica del "Fate Presto!" impazza già, mentre il Banco balla il valzer, e insieme a lui tutta l'opinione pubblica (così chiamano i raffinatissimi della semantica il popolino).